bell hooks definiva il margine come spazio di resistenza e luogo radicale di possibilità. A partire da questo concetto Rachele Borghi nel testo "Decolonialità e privilegio" (Meltemi, 2020) ci guida alla ricerca di strade che portino fuori dalla colonialità condividendo la sua personale esperienza come docente guerrigliera alla Sorbona di Parigi. Li chiama "esercizi di decolonialità". Sì, perché colonialità è più di colonialismo, investe i territori della mente, dell'essere e del potere.
E la decolonializzazione è un processo che passa dalla coscientizzazione del proprio potere, dal ribaltamento del proprio privilegio, dal mettersi in gioco, dalla condivisione dei propri limiti e debolezze, dall'imparare a stare a proprio agio nel disagio.
Per intraprendere questo viaggio è necessario farlo con il corpo, che è spazio di resistenza e veicolo di relazioni.
Decolonializzare vuol dire anche concepire il mondo come pluriversale, rinunciare al binarismo e distruggere i paradigmi.
Abbiamo invitato Rachele Borghi alla rassegna Cose del genere perché vogliamo entrare in contatto con le sue esperienze per capire come è possibile creare interstizi di decolonialità nello spazio del privilegio occidentale e bianco.
Rachele Borghi è professora di Geografia all’Università Sorbona di Parigi, geografa queer, pornosecchiona transfemminista. Il suo lavoro s’incentra sulla decostruzione delle norme dominanti che si materializzano nei luoghi e sulla contaminazione degli spazi attraverso i corpi dissidenti e militanti.
Rachele Borghi, Decolonialità e privilegio. Pratiche femministe e critica al sistema-mondo, Meltemi, 2020
___