Questo è uno spettacolo che non celebra Fabrizio de André, ma che cerca di proporne la memoria come qualcosa di vivo, di cui seguire le orme ancora fresche. Il discorso riprende da dove l'avevamo lasciato proprio un anno fa, sempre alla Scighera, nel corso di una serata in cui si tracciavano i contatti tra l’universo del cantautore genovese e la costellazione di musicisti e poeti che più l’hanno ispirato (Brassens e la scuola francofona, Dylan, Cohen, Villon, Saba, ecc.).
Questa volta la radice che vogliamo far cantare è quella più profonda e costante dell'universo deandreiano, tanto da pulsare in ogni suo disco: il canto popolare italiano, europeo e mediterraneo. Una serie di accostamenti e suggestioni, senza alcuna pretesa filologica, ci guideranno per tematiche, racconti e suoni alla riscoperta di una storia d’amore durata una carriera e uscita allo scoperto con il disco “Creuza de ma”, che rivelò al mondo il de André dialettale.
La bella che guarda il mare fa da ouverture e da finale. È un frammento di gusto popolaresco tratto dalla colonna sonora del film di Luigi Magni “Nell’anno del signore”. Lo stesso Faber nella tourné teatrale del 1996 lo accennava, voce e chitarra, in un emozionante fuoriprogramma, documentato nel CD “Ed avevamo gli occhi troppo belli”.
Con Andrea, una delle ballate più conosciute e meno scontate dedicate alla guerra, apriamo il primo ciclo. E' una storia individuale, intima, privata, come quasi tutte le storie narrate da un autore che con le masse aveva un pessimo rapporto. Nel “Pover Luisin”, storia di un amore spezzato dalla seconda guerra d'indipendenza, si canta lo stesso senso di impotenza e di perdita: nel cuore di chi ha “perso l'amore” la guerra eroica dei manuali diventa solo un'altra “guera desperada”. Nessuna retorica nazionalista potrà consolare chi resta. Un canto ancora lontano dall'esprimere una coscienza pacifista, ma che anticipa drammaticamente (questa versione è del 1880) la comparsa dell'individuo delle filosofie politiche novecentesche.
Proseguiamo inoltrandoci nei carrugi malfamati della vecchia Genova, che si fondono e si confondono con quelli della ligera milanese, in una comune geografia urbana della dannazione; la bambina che “basta prenderla per la mano” di Via del Campo è la stessa delle “ragazzine che te la danno, prima la buonasera e poi la mano” di Porta Romana, o di Piazza Vetra, dove trova una tragica fine la Povera Rosetta.
E così quella Bocca di Rosa che fa l'amore per passione, sovvertendo pericolosamente le regole e i tabù del mondo patriarcale, trova un corrispettivo nella beffarda, gioiosa, provocatoria libertà delle mondine che tornano dalla risaia cantando, in Addio Morettin, “ti ho amato per quaranta giorni, sol per passare un’ora”.
Canti di lavoro forse, come filosofico e contemplativo è il Canto del servo pastore, al quale fa da contrappunto “Mo ve na bella mia”, canto della pastorizia del grande poeta popolare Matteo Salvatore, che conclude la prima parte dello spettacolo.
Fa da intermezzo il brano I funerali del pirata, scritto da Alessio Lega e cantato alla prima iniziativa pubblica che Genova dedicò al suo cantore scomparso (Sala chiamata del porto, settembre 1999).
La seconda parte si apre con un'elaborata sequenza che miscela, senza soluzione di continuità, la tensione spirituale che parte dai vangeli apocrifi, che ispirarono la scrittura del disco forse più complesso e inaspettato di de André, La buona novella, con brani della religiosità popolare, sopravvissuti a secoli di furia omologante della chiesa cattolica. La Passione di Diamante, canto rituale calabrese della settimana santa, condivide con Le Tre Madri la tensione a spogliare le figure del racconto biblico della loro divinità per restituirle all'umanità. Uomini e donne in carne, sangue e ossa, i protagonisti della passione divengono così gli archetipi del dolore più indicibile, quello di ogni madre per il figlio che muore. Completano la sequenza un frammento di Ottocento ispirato a una Lauda di Jacopone da Todi e la celebre Ave Maria sarda (inserita nel disco “dell’Indiano” del 1982).
E poi l'altra faccia della spiritualità, che testimonia la forte tensione morale del Blasfemo, ucciso da due guardie bigotte per aver sostenuto che “Dio imbrogliò il primo uomo”, e quella di alcuni dei più gustosi stornelli della tradizione anticlericale di epoca ottocentesca: Quando che muore un prete, Stornelli anticlericali, Bevi compagno bevi.
Non poteva proprio mancare in questo spettacolo Creuza de Ma, accostata a Vurria addeventare, canto di pescatori campani. La stessa gente di porto che racconta, ciascuna nel proprio dialetto ma con un'impressionante vicinanza di poetica e immaginario, l'eterno rapporto di simbiosi con il medesimo mare, il Mediterraneo.
La struttura di una favola surreale e struggente come Sally ci ha ricordato molto da vicino quella di molte antiche canzoni narrative, fra le tante possibili siamo andati a cercare ancora una volta verso sud, e abbiamo scelto la calabrese Riturnella.
Il de André più sociale e anarchico, che canta, in Disamistade, di una faida insanabile tra due famiglie “disarmate di sangue”, si specchia in Liberté, ovvero la disputa che contrappone giacobini e sanfedisti. E' la fusione di due canti di matrice diametralmente opposta, risalenti all'ultimo decennio del 1700. Il sovrapporsi delle rivendicazioni delle due fazioni genera l'effetto di uno scontro di piazza dove le voci sono troppo occupate a sovrastarsi per poter desiderare “un modo di vivere senza dolore”...
In conclusione un afflato di speranza, un richiamo all'impegno e alla responsabilità di ciascuno: “Disertate o falangi di schiavi, dai cantieri, dall'arse officine” è l'esortazione di Pietro Gori, contenuta in Vieni o maggio, scritta dall'avvocato anarchico nel carcere milanese di San Vittore in vista del Primo Maggio 1892, sull'aria di un celeberrimo coro verdiano. Gli fa eco, naturalmente, la Canzone del Maggio, sogno finale di un bombarolo maldestro, protagonista del concept album Storia di un impiegato, che grida, pure lui da dietro le sbarre, il suo atto d'accusa a quanti pensano di potersi chiamare fuori: “per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti”...
Gruppo di canto popolare:
Pieranna Borio, Elsa Brambilla, Livia Brambilla, Rocco Cicoria, Renato Dametti, Anna Fiorini, Gloria Frappetri, Silvia Giacomini, Emanuele Natoli, Cornelia Pelletta, Giancarlo Pennati, Angelo Pugolotti, Silvia Rusignuolo, Massimiliano Vaini, Lorenzo Valera.