«All'Esselunga non si respira senza permesso»
di Maurizio Pagliassotti
su Liberazione del 02/03/2008
La commessa picchiata nel supermercato: «I calci, la testa dentro il water, pensavo di morire». Ieri mattina al sit-in di solidarietà un po' di tensione tra un poliziotto e un manifestante
Viale Pampiniano a Milano, duecento persone davanti a un supermercato della catena Esselunga dalle nove del mattino alle due di pomeriggio. Slogan, cori, bandiere, blitz all'interno del negozio con cortei e fischietti, perfino un po' di pannolini appesi alle vetrine. In origine doveva essere uno sciopero generale di tutti i dipendenti della catena Esselunga di otto ore. L'adesione probabilmente è prossima allo zero per cento. E questo dato da solo racconta molte cose.
Nonostante questo è stata una manifestazione piccola ma incazzata quella che ieri ha espresso solidarietà a Giovanna (nome fantasia), la giovane commessa aggredita brutalmente all'interno del supermercato dove lavorava. La colpa per cui ha pagato è aver denunciato le vessazioni cui era stata sottoposta tempo addietro, soprusi giunti perfino ad imporle di non potere andare in bagno a fare la pipì durante il turno di lavoro, costringendola così ad urinarsi nei pantaloni seduta alla cassa di fronte ai clienti.
Una manifestazione tranquilla a parte un po' di tensione avvenuta verso le undici del mattino quando causa di un riflesso pavloviano un poliziotto della Digos ha spintonato un manifestante reo di averlo insultato, così almeno diceva. Qualche schiaffone, un po' di parapiglia. Dentro il supermercato intanto i clienti continuavano a pesare zucchine e pomodori impermeabili a qualsiasi tipo di sensibilizzazione: «Potrebbero anche evitare di fare queste piazzate!» diceva una signora ad un uomo anziano che rincarava la dose: «Ma se anche fosse stata aggredita cosa vuol dire?! Mica si può fare una manifestazione! Avranno avuto degli affari loro!». A cento metri dal sit-in c'è anche un presidio del Pd. Distribuiscono volantini che raccontano quanto sia bello un mondo dove imprenditori e schiavi vanno d'accordo, ma anche no. Le loro bandiere rimangono a distanza di sicurezza dalla manifestazione per Giovanna e per tutta la mattina, eppure sanno tutto... Anche le colleghe cassiere inguainate dentro il loro camice-tailleur gessato blu esprimono dubbi sull'operato di Giovanna, una donna con cui andavano a prendere il caffè fino a due giorni prima e che ora è a casa piena di lividi, umiliata e in lacrime. Una voce tra le molte: «Secondo me sono tutte storie, si è fatta tutto da sola! Si sa che il re di Esselunga, Bernardo Caprotti, non va molto d'accordo con i sindacati, ci ha scritto perfino un libro sopra, Falce e carrello, però essere più realisti del re per i dipendenti è dura, si deve scendere nel grottesco». Alessandro: «Il sindacato dovrebbe pagare l'avvocato alla tipa (cosa che fa, ndr) e basta». Queste voci fanno letteralmente imbestialire alcune signore manifestanti che da venti centimetri di distanza urlano in faccia a delle impaurite cassiere il loro sdegno: vergogna! I più loquaci tra i dipendenti sono quelli che dicono che non c'erano oppure che non hanno visto nulla. Quelli che invece erano presenti tacciono. La spiegazione la dà la stessa Giovanna raggiunta da Liberazione al telefono.
«Hanno tutti paura come me. Dentro quel supermercato non si può respirare senza chiedere il permesso. E' un posto dove per bere (intende il suo caso, ndr) si deve avere l'autorizzazione». Giovanna racconta il clima drammatico che si respira all'Esselunga. Deve essere una donna molto decisa e chi le ha procurato dolore ed umiliazione ha sicuramente di che temere.
«Come mi sento? Male, ed ho paura. Soprattutto per i mie figli. Ma sono determinata ad andare in fondo a questa faccenda... e tornerò a lavorare nel supermercato di vile Pampiniano perché io sono quella che ha subito un torto!».
Il tono è indignato e battagliero, il suo racconto dell'aggressione lucido: «I soliti gesti nel bagno, il tampone sulla bocca, la stretta, le minacce, i calci, la testa dentro il water, e poi lo scherno finale: pensavo di morire, ho pensato che non avrei mai più rivisto i miei figli. Quell'uomo stringeva e continuava ad urlare piscia! Piscia adesso! Incredibilmente non esistono al momento testimoni diretti di quanto è accaduto ma un anziano cliente con l'occhio lungo fa notare che il supermercato è dotato di molte telecamere...».
Nel racconto di Giovanna il direttore arriva subito e la prima cosa che le domanda è: perché mi fai questo? Giovanna racconta di aver richiesto subito l'intervento della polizia ma, sempre secondo la sua versione, questa sarebbe arrivata solo dopo mezz'ora abbondante. Il commissariato si trova a cinquanta metri. Misteri che la magistratura dovrà risolvere.
Tutta la storia nasce dopo una visita medica, successiva ad un incidente automobilistico, in cui un urologo certifica che Giovanna deve bere due bicchieri d'acqua ogni due ore. Questo significa fare tanta pipì e la cosa per la Esselunga pare inaccettabile.
E la ditta cosa dice? L'ispettore Giuseppe Dimiccioli fa filosofia: «Coltivare il dubbio a volte fa bene. Bella idea, ma non basta: i clienti con il cestello hanno un peso specifico molto maggiore del sindacato, urge quindi rincuorare tutti i sensibili (che potrebbero andare a fare la spesa alla coop, nemico storico di Esselunga)». Arriva quindi il comunicato dell'azienda che esprime solidarietà con l'aggredita e si dice disponibile per le indagini... Il solito bla bla.
Intanto Giovanna è a casa, con una prognosi di dieci giorni che si dispera: «Cosa ho fatto di male? Io sono sempre stata fedelissima a tutte le norme dell'azienda. Ultimamente non uscivo nemmeno più durante la pausa per non perdere tempo. Però come potevo resistere alla pipì che mi tormentava? Quanto mi è capitato alla cassa mi ha provocato una emorragia interna. Non so chi possa essere stato, non ho mai avuto nemici».
Intanto al sit-in si sono fatte le due del pomeriggio e le bandiere vengono arrotolate, un nuovo presidio è chiamato per martedì prossimo. Ultima ad andare via un'amica collega di Giovanna, una delle pochissime in sciopero: «Sarà dura rientrare, ma abbiamo la forza della ragione dalla nostra parte. Non faremo un passo indietro».