La scighera entra nella vita, negli androni delle case, bagna le barbe; pervade con i suoi inafferrabili disegni le paure, i sogni, l’immaginario collettivo. Così veniva chiamata con segreto affetto dai milanesi la ‘nebbia in Val Padana’ dei bollettini meteorologici, questa presenza costante, unico tratto che distingue la grande pianura. Ma c'è chi dice che la parola arrivi da molto più lontano: sarebbe un termine di origine araba, giunto da noi durante la dominazione spagnola, a coprire di ridicolo chi vede nel dialetto l'espressione di un'identità immutabile, un rifugio sicuro dai pericoli delle contaminazioni tra le culture. Noi crediamo nella qualità della scighera di confondere le distanze, di mischiare il reale con il desiderio e il passato con il futuro. E proprio in quello che molti considerano un limite sta la nostra forza: siamo degli impenitenti libertari che credono nella partecipazione, nell'autogestione e nella democrazia diretta, senza le quali si creano solo fredde e vuote scatole da riempire e non un appassionato progetto pulsante, capace di mettere in gioco sfere diverse della nostra esistenza.
Del resto, non inventiamo nulla, ma ci limitiamo a ricongiungerci alla grande tradizione delle osterie, dei caffè: luoghi di sotterranea elaborazione dei saperi, come tutte le avanguardie artistiche avevano già intuito. Sono solo chiacchiere da bar? Appunto...