Fioccano le enoteche e ancor più i wine bar in ogni angolo della città, terminologie nuove entrano nel lessico quotidiano della gente comune alimentate dalla televisione all’ora di pranzo oppure dagli scaffali dei supermercati. La passione per i vini invecchiati, la barrique, gli ampollosi calici e qualche locale di moda che offre solo vini californiani, australiani o cileni. Tutto sembra volerci raccontare che gli italiani si stanno riavvicinando al vino, che stanno imparando a conoscere il vino... la nostra impressione è che gli italiani dal vino non si sono mai allontanati, che lo abbiamo sempre conosciuto perché non si è mai allontanato dalle nostre tavole come elemento di socialità, perché ha sempre riempito gli spazi delle conversazioni. Esistono vini dallo spiccato valore sociale, vini che raccontano la storia della loro terra e altri che vanno bevuti in silenzio e seguiti nella loro evoluzione sorso dopo sorso. Vini diversi per momenti diversi. Buoni o adatti a seconda delle occasioni.
Esiste poi un lungo discorso sull’eticità del vino, lungo la strada aperta dall’ «anarchenologo» Luigi Veronelli e portata avanti da progetti come Critical Wine, che ha saputo creare nuove sensibilità. Come orientarsi in questa situazione?
La Scighera si è proposta senza pregiudizi in questo campo, cercando nel suo piccolo di dare un’offerta di vini ampia e variegata nei gusti e nei significati. Ci siamo dati poche linee guida, abbiamo provato qualche vino biologico, abbiamo optato perlopiù su vitigni autoctoni italiani e su produttori di piccole dimensioni. Abbiamo cercato cantine che potessero soddisfare i criteri della nostra scheda di valutazione lasciandoci anche influenzare dalle nostre passioni personali per l’una o l’altra zona, perché la Scighera è fatta pur sempre da esseri umani.Nessun principio per noi è dogma, e la regola del rapporto diretto con i produttori ha trovato subito la su a eccezione grazie all’incontro con un piccolo distributore che si è dimostrato molto vicino alla nostra sensibilità: una persona sempre a caccia di piccoli produttori fortemente legati alla loro terra e al loro lavoro, estranei alla media e grande distribuzione. Si sono alternati molti vini sui tavoli della Scighera e molti altri si alterneranno, alcuni forse rimarranno per sempre, altri spariranno e, altri ancora potrete berli per una sera soltanto se sarete fortunati. Abbiamo provato a versare un buon bicchiere di vino per tutti e per le tasche di tutti, abbiamo provato ad informare e continueremo a farlo con i nostri corsi, continuiamo a servire buoni vini in piccoli bicchieri, ma concedendoci anche grandi bottiglie di Barbaresco e Amarone, con qualche degustazione situazionista qua e là. Abbiamo soprattutto cercato di riscoprire il valore sociale del vino con quel via vai dal bancone, le due chiacchiere con l’oste ad ogni bicchiere. Il rapporto col vino che vogliamo è quello dell’osteria, la ragione per cui siamo osti, tornare al legame tra quel vino a buon prezzo nel bicchiere basso e tozzo atto a resistere nel tempo e l’oste unico garante della qualità del vino.
Nella memoria storica della nostra carta sono già entrati tra i Rossi il nostro vino da tavola, il famoso soldino per un bicchiere dalla cantina sociale di Rocchetta Tanaro, la Lacrima di Morro d’alba, il vino più bevuto sui nostri tavoli, ma anche il Ruché di Castagnole Monferrato e lo Schioppettino di «Fiore dei liberi» con quel nome che ci entusiasma sempre un po’.
Tra i bianchi ci siamo ormai affezionati a due vini autoctoni del centroitalia, il Verdicchio di Jesi e il Pecorino, e a uno dei nostri pochi vitigni internazionali, quello Chardonnay Pan tanto particolare del quale ci si innamora fin troppo facilmente. Continuiamo a cercare, sperimentare e soprattutto a bere vino.
Continuiamo a veicolare un messaggio, forse pieno di contraddizioni, e a cercare di condividere le nostre scoperte: le schede di autocertificazione compilate dai produttori sono consultabili e il prezzo sorgente è dichiarato esplicitamente.