Nel decidere il menù da proporre in Scighera ci siamo da subito posti la questione della scelta vegetariana. Molti soci del circolo sono infatti vegetariani, molti altri no, altri ancora sono vegani, ovvero non mangiano nulla di origine animale. La nostra scelta è stata quella di proporre giornalmente un menù misto, dato che sosteniamo in pieno queste posizioni, ma non solo: anche per coloro che non hanno posizioni di questo genere abbiamo scelto di indirizzarci verso carni, salumi e formaggi prodotti nel rispetto di principi etici ed ecologici.
È doveroso fare una premessa, di seguito parleremo di allevamenti intensivi, e non di allevamenti in generale, proprio perché non stigmatizziamo in assoluto il consumo di carne.
Scelta etica
Senza entrare appunto nel dibattito etico sul consumo di carne in generale, rifiutiamo moralmente la produzione e il consumo di quella proveniente da allevamenti intensivi prima di tutto per le condizioni di vita e di morte degli animali al loro interno. La quasi totalità della carne che gli uomini consumano deriva da animali cresciuti in allevamenti intensivi, rinchiusi cioè in ambienti incompatibili con le loro esigenze fisiologiche, alimentati al solo fine di produrre il massimo risultato nel più breve tempo possibile e infine uccisi in maniera sistematica. Particolarmente atroce è la pratica della macellazione e il viaggio di morte che gli animali fanno ammassati nei camion fino al macello, trasporto che spesso anticipa il decesso per molti di loro. Il latte viene prodotto da vacche geneticamente selezionate per generarne quanto più possibile, sebbene questo induca negli animali delle tare genetiche che sono spesso causa di sofferenze per tutta la loro vita. È da sottolineare che l’intero ciclo vitale delle vacche è cadenzato dalla sola esigenza produttiva: vengono ingravidate artificialmente in modo costante perché se non lo fossero non produrrebbero latte e ancor più non «produrrebbero» vitelli. I vitelli vengono strappati alla nascita alle loro madri perché non ne bevano il latte, rinchiusi in stretti box e alimentati con una dieta assolutamente innaturale per renderli anemici cosicché la loro carne rimanga bianca e tenera. Anche le uova sono prodotte in allevamenti intensivi nei quali, per massimizzare la produzione, le galline sono allevate per tutta la loro breve vita in gabbie che lasciano all’animale uno spazio corrispondente a meno di un foglio A4. Appena nati i pulcini maschi vengono buttati vivi in un tritacarne per diventare mangime, mentre alle femmine tagliano il becco in modo da evitare che si feriscano a morte con le compagne di gabbia. Non appena la loro produttività scende sotto un determinato livello anch’esse vengono macellate per diventare carne di seconda scelta.
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Scelta ambientale
Rendersi davvero conto dell’impatto ambientale dell’alimentazione con carne prodotta da allevamenti intensivi è cosa assai rara e di difficile comprensione; questi si lega infatti ai temi della deforestazione, dell’inquinamento del terreno dell’acqua e dell’aria, e dell’effetto serra.
Deforestazione: le ragioni per le quali l’allevamento industriale porta alla deforestazione di ampi territori è da ricercarsi in primis dal continuo aumento del consumo di prodotti animali nei paesi industrializzati. Il fatto che molti dei terreni agricoli che potrebbero fornire cibo direttamente all’uomo, vengano invece usati per produrre foraggio per gli animali comporta ovviamente una notevole perdita di resa produttiva e la conseguente inevitabile necessità di adibire sempre più terreno alla coltivazione, e quindi di disboscare aree sempre maggiori di foresta da trasformare in terreni agricoli o in pascoli. A ciò si aggiunga il progressivo processo di desertificazione che investe il suolo non più protetto da vegetazione, e quindi esposto di continuo all’azione degli agenti atmosferici che rapidamente spazzano via l’humus che non può essere reintegrato, se non in piccola parte, con la concimazione. Inoltre l’eccessiva concentrazione di capi di bestiame nei pascoli tende a rendere la terra dura e compatta, non più in grado di trattenere l’acqua, per effetto del continuo schiacciamento operato dagli zoccoli dei bovini.
Inquinamento: gli allevamenti intensivi sono anche causa di un grave inquinamento
chimico del terreno per la quantità di deiezioni prodotte e dei fertilizzanti organici necessari per la coltivazione intensiva di foraggi. La concimazione massiccia mediante deiezioni animali comporta infatti gravi conseguenze ambientali a causa della loro mutata composizione chimica, per l’uso eccessivo di farmaci e integratori. Inoltre una simile concentrazione di deiezioni comporta nelle falde acquifere una sempre maggiore contaminazione da nitrati e nitriti.
Un altro grosso problema degli allevamenti intensivi e dei terreni coltivati a foraggio è il loro enorme fabbisogno di acqua. L’acqua potabile viene utilizzata non solo per irrigare le sempre maggiori estensioni di terreno richieste dai foraggi, ma anche per pulire continuamente le stalle ed i macelli dai residui della macellazione e dagli escrementi, oltre che per abbeverare gli animali. Per produrre un grammo di proteine animali è necessario usare in media quindici volte la quantità d’acqua necessaria per produrre un grammo di proteine vegetali.
Innalzamento della temperatura: l’industria della carne è inoltre tra i diretti responsabili dell’innalzamento globale della temperatura dovuto all’effetto serra a ausa del notevole bisogno di energia. L’altra causa dell’aumento dell’effetto serra è la produzione di metano dovuto al processo digestivo dei bovini che si somma al gas prodotto della deforestazione.
Dopo questa analisi è chiaro che il dibattito sul consumo di carne, come di formaggio (ma anche del pesce), non può concludersi con indicazioni prescrittive ma con la definizione di un percorso di consapevolezza. Percorso che non può non tener conto dei punti che abbiamo cercato qui di sintetizzare.
È per questo, infatti, che il lavoro di scelta dei produttori, sia dei salumi sia dei formaggi, si è indirizzato verso piccole aziende che operino tenendo presenti tali principi. È un lavoro che non si è concluso, e in un certo senso deve rimanere sempre in divenire per non snaturarsi.
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